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Un arco dell’Età del Bronzo alto quasi due metri attribuito a una delle popolazioni degli Ari è stato ricostruito con materiali originali dagli archeologi della South Ural State University nell’ambito di una ricerca internazionale, un’arma micidiale che aveva, nella sua precisione, capacità di colpire a distanza e potere di produrre danni mortali contemporaneamente.
Una dovuta precisazione prima di presentare la ricerca.
I popoli di lingua indoiranica usavano chiamarsi Ari, l’uso del termine arisch fu esteso, da parte dei teorici del nazismo, a indicare il tipo etnico biondo nordeuropeo concepito come continuazione diretta dell’antica popolazione ariana «nobile, eletta». Si trattò di un falso storico di gravità inestimabile, basato su almeno due errori: identificazione di lingua con razza e mito della razza e della lingua pura. Con questo articolo, dunque, desidero frenare , a priori, qualsiasi slancio di tipo nazionalista che potrebbe generarsi con l’uso dei termini Ari e ariano.
La ricostruzione di oggetti secondo i dati archeologici è uno dei campi più importanti della scienza storica moderna, l’archeologia cosiddetta sperimentale è ormai una branca attiva della classica ricerca archeologica. Ricostruendo manufatti del passato sulla base di dati indiretti, i ricercatori sono in grado di comprendere meglio la tecnologia e la vita quotidiana dei propri antenati.
I ricercatori della South Ural State University hanno ricostruito l’arco di quattromila anni fa in un esperimento unico. Alla base della ricostruzione si pongono delle parti di corno animale rinvenute in tre complessi funerari del popolo Sintashta, un’antica tribù indoiraniana che popolava gli Urali meridionali a cavallo tra il III e il II millennio a.C., a cui si può datare il famoso sito di Arkaim, situato nelle steppe degli Urali meridionali.
La capacità di penetrazione di questo tipo di arco era così alta che poteva perforare persino l’armatura di bronzo: era sicuramente un’arma d’élite di un guerriero del celebra carro da guerra ma poteva anche essere usato dagli aristocratici cacciatori di grandi prede. Secondo gli esperti, la forma asimmetrica dell’arco, compensata dall’equilibrio delle parti realizzate con il corno, potrebbe aver conferito all’arma una speciale ergonomia da combattimento, consentendogli di essere usato agevolmente anche su un veicolo da guerra.
Secondo Ivan Semyan, responsabile del Laboratorio di archeologia sperimentale della SUSU, l’arco Sintashta è un arco lungo composto con una serie di parti speciali per migliorare la meccanica ed espandere la funzionalità. Test e simulazioni hanno mostrato che il tiro efficace di grandi frecce Sintashta richiedeva una tensione dell’arco di oltre 28 chilogrammi, contro i soli 25 chilogrammi di un moderno arco olimpico da uomo. Il risultato del nostro esperimento è stato un arco lungo 187 cm con 29,03 kg di tensione che può essere utilizzato per il tiro al bersaglio a una distanza di circa 80 metri.
Secondo gli archeologi, questi archi composti sono le armi a distanza più potenti e precise dell’antichità. La ricostruzione di questa tecnologia ci consente di affermare che erano difficili da produrre e richiedevano una specializzazione del lavoro. Le parti in legno e corno dell’arco sono state probabilmente create da diversi artigiani.
Gli elementi originali dell’arco trovati dagli archeologi mostrano un’elevata qualità di molatura e lucidatura che richiedono molte ore di perforazione, taglio e rettifica con strumenti in bronzo e non solo. Inoltre, la creazione di un set completo di frecce, ad esempio, richiedeva almeno tre specialisti: un modellatore, uno spaccapietre e un intagliatore di ossi.
Semyan osserva che è stato estremamente importante aderire rigorosamente a tre principi: utilizzare materiali autentici, tecnologie autentiche e non superare il livello del pensiero tecnico degli antichi artigiani. Pertanto, sono stati utilizzati solo quattro materiali: legno, corno, colla d’ossi animale e tendini. In totale, sono state testate quattro versioni dellarco degli Ari e i risultati hanno dimostrato l’alta qualità dell’arco creato dagli specialisti SUSU. Durante le prove, l’arco ha mostrato un’elevata potenza meccanica con ripetibilità stabile (oltre 300 colpi), oltre alla completa assenza di vibrazioni distruttive.
Il dettaglio più curioso trovato durante gli scavi era un ipotetico alloggiamento per la freccia costituito da due lamelle: il team di esperti ha ritenuto che quello inferiore fosse utilizzato quando si lanciava a una distanza inferiore a 20 metri, l’alloggiamento superiore veniva utilizzata quando si miravano su bersagli a una distanza maggiore, con il sollevamento della freccia durante la mira.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Università statale degli Urali del Sud
Source: danielemancini-archeologia.it